Ezio Guaitamacchi & Jam TV
presentano “A song a day keeps the virus away”
Pensieri, parole e riflessioni per attenuare l’ansia e (ri)scoprire le canzoni che ci hanno cambiato la vita
Nei giorni scorsi pubblicati il tredicesimo, quattordicesimo e il quindicesimo appuntamento con Prince, Joan Baez e R.E.M.
Oggi il sedicesimo capitolo con i Rolling Stones

La musica, oltre a emozionarci, farci sognare o semplicemente a svagarci e divertirci, ci fa meditare, riflettere, pensare. E, da questo punto di vista, può essere un prezioso sostegno psicologico per superare momenti di disorientamento e sconforto come quelli che stiamo vivendo oggi.

Oggi, alle ore 16, il sedicesimo capitolo di “A song a day keeps the virus away” su jamtv.it in partnership con meiweb.itmescalina.itmusicalmind.altervista.orgspettakolo.it e le pagine Facebook Cultura Virale e Musica senza aggettivi. Nei giorni scorsi il tredicesimo con Prince, il quattordicesimo con Joan Baez e il quindicesimo con i R.e.m.

Ezio Guaitamacchi presenta storie, curiosità e riflessioni legate alle canzoni che hanno fatto epoca, quelle che, pur scritte anni fa, sono ancora di un’attualità disarmante. Un modo diverso di (ri)scoprire brani bellissimi che ci riconciliano con la vita.

Prince e il segno dei tempi

Primavera del 1986: Sign Of The Times è una rivista mensile pubblicata dagli adepti della Chiesa Avventista del Settimo giorno. Incoraggia i lettori a una vita che rispetti i dettami del cristianesimo in attesa del ritorno di Gesù. Prince Roger Nelson è cresciuto in un contesto di seguaci della chiesa Avventista: entrambi i suoi genitori lo sono e per lui quel magazine e i suoi contenuti, da sempre, suonano familiari.

Quando, nel 1986, inizia a pensare al suo nuovo album quel giornale e i suoi articoli gli tornano alla mente. L’America, sotto la presidenza Reagan, sta vivendo giorni turbolenti e contraddittori: droga, violenza, AIDS sono tematiche presenti ogni giorno su stampa, radio e televisioni. Prince decide che è giunto il momento di denunciare il lato oscuro della società americana e di combatterlo proponendo invece una visione diversa.

Anche per noi il segno dei tempi che stiamo vivendo può essere vissuto e forse anestetizzato da una grande canzone come quella di Prince.

Stones in the road – quando Joan Baez decise di interpretare un brano di una giovane cantautrice

Rolling Stones©

Inverno del 1990: Joan Baez è sul palco con la più giovane collega Mary Chapin Carpenter. Mary Chapin è una bravissima cantautrice ma non ha ancora raggiunto il successo e la popolarità che si meriterebbe. Eppure il suo nome, già da qualche anno, è sulla bocca degli appassionati.

Mentre stanno facendo il sound check, la Carpenter fa ascoltare alla Baez una nuova canzone sussurrandole “non so che farmene… tu che dici?”. Joan non ha dubbi e immediatamente risponde: “Dalla a me”. Detto, fatto. Joan Baez registra “Stones In The Road”, un affascinante brano che parla dell’America degli anni ’60, dei suoi sogni e delle sue illusioni spesso andati in frantumi.

I fatti vengono raccontati in modo autobiografico dal punto di vista di una adolescente Mary Chapin Carpenter come quella volta che assiste, insieme ai suoi genitori, al passaggio del treno che trasporta la salma di Robert Kennedy. E che ricorda in modo appassionato quei turbolenti giorni del 1968 quando anche il leader del movimento per i diritti civili degli afroamericani, il Dr. Martin Luther King jr., venne assassinato.

Quello di Mary Chapin Carpenter è l’urlo triste e disperato di un’intera generazione che ha perduto due eroi ma anche una supplica sentita, rivolta a chi è venuto dopo, di non abbandonare la lotta per i valori per i quali Kennedy e King sono morti. Nel 1992 il mondo scoprirà finalmente il talento di Mary Chapin Carpenter che venderà 4 milioni di copie con l’album “Come On Come On”, mentre due anni dopo la stessa cantautrice registrerà la sua versione di “Stones In The Road”, brano che ormai rappresenta uno dei momenti più belli del repertorio attuale di Joan Baez.

Losing my religion, la canzone che decretò il successo internazionale dei R.E.M.

Michael Stipe – R.E.M. ©

Settembre 1990: ai Bearsville Studios di Woodstock, Peter Buck sta provando e riprovando quel riff sul mandolino attorno al quale, qualche settimana prima, aveva composto un brano. Per Peter quello strumentino folk è diventato una specie di ossessione.

Lo suona tutti i giorni sperando di emulare gli assolo di Bill Monroe o di altri virtuosi del bluegrass. Intanto, però, c’ha scritto un pezzo nel classico stile dei R.E.M., con accordi in minore che si susseguono e su cui Mike Mills s’è inventato una linea di basso che sembra mutuata pari pari da quelle di John McVie dei Fleetwood Mac. Michael Stipe scrive il testo che contiene la frase idiomatica “Losing My Religion” che, nello slang del sud degli Stati Uniti significa “non saper più che fare”.

È come dire che, magari travolto da un destino avverso, uno rischia di perdere la fede in dio. O la fiducia in una persona cara. “Per certi versi”, ha dichiarato Stipe, “si tratta di una canzone romantica… di un amore non corrisposto. Parla di qualcosa di ossessivo”, ha aggiunto Stipe, “perché credo che le canzoni migliori siano quelle in cui il pubblico riesce a identificarsi e, ascoltandole, pensare… cavolo, quello sono io”.

Cerchiamo di non perdere la fiducia nel nostro futuro e ascoltare questa bellissima canzone che decretò il successo internazionale dei R.E.M., “Losing My Religion”!

Gimme shelter – la ricerca di un rifugio (in tutti i sensi) per i Rolling Stones

Ezio Guaitamacchi @ Ray Tarantino©

Inverno del 1968 A Londra si sta scatenando un’autentica bufera: acqua e vento stanno flagellando la capitale inglese. “Era una giornata orribile”, ricorda Keith Richards, “mi trovavo a Mount Street, a casa di Robert Fraser, il ‘groovy Bob’, famoso gallerista e amico nostro e dei Beatles. Guardavo dalla finestra e vedevo la gente cercare riparo da questo tempaccio … ho iniziato a suonare e a comporre quella che sarebbe diventata Gimme Shelter”.

Quel giorno, non lontano da casa di Fraser, Mick Jagger sta recitando in “Performance”, film drammatico che segna il suo debutto sul grande schermo. Tra gli attori, c’è anche Anita Pallenberg, la ex di Brian Jones ora legata a Keith Richards. “Era il periodo della guerra in Vietnam”, spiega Jagger, “un conflitto odioso che tutti noi detestavamo… in generale, era un’epoca di violenza a terrore”. L’unione tra la voglia di cercare un riparo “fisico” dalla tempesta londinese e quello di riparo morale dagli orrori della guerra crea la liaison perfetta tra le creatività di Jagger e Richards.

Insomma, attraverso la musica, anche noi oggi possiamo cercare rifugio.

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Milano, 7 aprile 2020