Quale modo migliore di celebrare la Festa del papà se non parlando con l’autore de “Il Rock di padre in figli*”? Un fil rouge tra i giovani che devono ancora scoprire questo genere e i padri che ne hanno fatto uno stile di vita

Massimo Cotto ©Ph Silvia Nironi

Dopo aver raccontato il rock da ogni angolazione perché ora questa tematica?
«Perché quando io ero adolescente tutti sapevano perfettamente cosa fosse il rock. Anche quelli che non lo amavano. Oggi non è più così: gli adolescenti sono innamorati prevalentemente di altri generi musicali, come trap o rap. O comunque si muovono secondo coordinate differenti e non conoscono più la storia del rock, che invece faceva parte del bagaglio culturale della mia generazione. Dunque, senza la pretesa di insegnare niente a nessuno, volevo semplicemente che mio figlio e idealmente tutti i suoi coetanei potessero conoscere quello che il rock ha fatto. Non solo a livello individuale nei sogni che ha ispirato, ma anche a livello sociopolitico. Due casi emblematici? Ha contribuito ad accelerare la liberazione di Nelson Mandela e portare alla fine della guerra in Vietnam».

Perché proprio la foto di Chester Bennington in copertina?
«Chester Bennington, che ho avuto la fortuna di conoscere e intervistare, non sembrava nemmeno una rockstar. Era una persona gentilissima e dolce. Quando è arrivata la notizia della sua morte la prima reazione è stata di sconcerto e stupore da parte di molti. Come può una persona amata, famosa, ricca e soprattutto con una bella famiglia essere tanto insoddisfatta della vita? Quando gli artisti calcano un palco sembrano divinità da adorare. E quando da quel palco scendono noi abbiamo l’abitudine di dire che “diventano come noi”. Ma non è così, sono molto più fragili e vulnerabili di noi. La loro sensibilità è superiore e questo li espone di più alle intemperie della vita. Oltre al mio amore per i Linkin Park, la sua immagine mi sembra la migliore per mandare il messaggio che nel rock “non è tutto oro quello che luccica”».

“Quegli artisti che a noi sembrano supereroi
hanno un lato oscuro che non vediamo
e con il quale sono costretti a confrontarsi giorno dopo giorno”

Un libro dedicato a “una generazione che non vanta il rock nel proprio bagaglio culturale”. Quale senti essere la differenza più evidente tra le generazioni con e senza rock?
«Il rock ha aiutato me e i miei coetanei a sognare molto più velocemente. I ragazzi di oggi sognano con altre modalità e artisti, sebbene forse in maniera più confusa. Premesso che sia giusto e legittimo che i figli non ascoltino le musiche dei padri, in primis per trovare una loro identità. A questo si aggiunga che nella nostra società tutto cambia e ricambia continuamente, compreso un certo humus artistico: questo il motivo per cui non potrà esserci più un nuovo David Bowie, Lou Reed, Miles Davis, Thelonius Monk o Chet Baker, come nell’arte un altro Van Gogh o Matisse».

“Paradossalmente nello sport
assistiamo a un ricambio più autentico che nell’arte.
Forse perché il mito lì si rigenera molto più velocemente”

Cosa c’è bisogno di ereditare dal rock in questo momento in cui non ci sono evidenti eredi, con la fine di un piccolo mondo antico annegato nel mare del politically correct?
«Sogno una trasmissione genetica di valori spirituali in modo che l’essenza del rock si possa tramandare da una generazione all’altra. Sogno, vorrei, ma credo sia impossibile. Il rock è sempre stato essenzialmente sinonimo di libertà, dominato dal senso di poter guidare la propria esistenza senza condizionamenti, senza che qualcuno ti venga a dire come ti devi comportare. Spesso e volentieri, a volte anche a sproposito, si è usata la parola “ribelle”, perché ci si ribellava con o senza motivo, ma sempre contro qualcuno. Mi piacerebbe che si potesse ereditare questo spirito, pur in nuove forme».

Mezzi e canali oggi per potersi avvicinare a questo genere e questo spirito rispetto a un tempo si sono moltiplicati. Eppure il rock, per quanto possa ancora cambiarci a livello individuale non può più farlo a livello collettivo. Perché?
«Quando chiesi a David Bowie se secondo lui il rock poteva ancora cambiare il mondo, mi rispose: “Ammesso che ci sia stato un tempo in cui ancora potesse accadere, oggi non è più così. Però il rock può cambiare noi nel mondo”. Una risposta bellissima, che sposta semplicemente il raggio di azione, però continua ad agire in maniera notevole.

L’avvento dei social e internet ha cambiato dinamiche e rapporti. Non ho intenzione di demonizzare quello che accade oggi, ma non bisogna dimenticare la fruizione contemporanea del tempo, in un mondo in cui tutto si brucia a una velocità sempre maggiore. Un cambiamento epocale  in atto percepito da artisti, manager e case discografiche che cercano quindi di sfruttare il più possibile momenti che sanno non potranno più replicarsi a lungo. In sintesi, mentre una volta si ragionava in termini di carriera, adesso la logica dominante è quella di singoli brani. Una visione che ha modificato a sua volta focus e l’attenzione stessa della gente. Di conseguenza non credo che gli “eroi di oggi”, per quanto bravi, potranno resistere come ad esempio i Rolling Stones».

“Non sono nostalgico, posso però dire più probabilmente che uno dei motivi per cui ritenga la musica della mia adolescenza
migliore di quella di oggi
sta nel fatto che io fossi adolescente quando l’ho vissuta”

Mick Jagger ha citato Yungblud tra gli “eredi”, ma faccio fatica a vederlo tra 50 anni come il suo predecessore.
«A dispetto dei discografici che, appena fai un successo, ti esortano a produrne altri simili, citi uno degli artisti più recenti che amo proprio perché le sue canzoni sono molto diverse una dall’altra. È un ragazzo di 26 anni che non fotocopia sé stesso. Lo stimo molto, però è inevitabile pensare che, andando il mondo come  abbiamo detto sopra, sarà molto difficile per lui riuscire a durare nel tempo, nonostante le indubbie qualità che possiede».

Da quando è nato si dice che “il rock è morto”: come vedi il futuro di questo genere considerando che, con riferimento al titolo del tuo libro, sappiamo chi siano i padri ma meno i figli?
«I figli dovranno intanto trovare sé stessi, indipendentemente dal rock. Questa è un’altra bellissima scommessa. Mio figlio è una persona sensibile e intelligente, che sogna molto ma che non ha chiari i suoi sogni così come li avevamo noi. Perché noi li avevamo a portata di mano, anche se non sempre si riusciva ad afferrarli. Loro hanno tutto a portata di click, ma per quanto ogni bisogno possa essere soddisfatto il più velocemente possibile tanto, purtroppo, la curiosità viene meno. E così leggono molto meno di quanto facessimo noi: passerò per boomer ma non sento in loro quella voglia di poesia in ogni sua forma – sia una canzone o una pagina di letteratura – capace di sopperire alle difficoltà della vita».

Parole di un giornalista e scrittore la cui cifra è proprio quella del mezzo letterario e della citazione poetica.
«Perché per me e quelli della mia generazione la letteratura è sempre stata il veicolo migliore per raggiungere “l’altrove”. Per questo è doloroso constatare che, oltre al rock, spesso i giovani non conoscano scrittori come John Steinbeck, Alda Merini o John Dos Passos».

Oggi è la Festa del papà. Cosa pensa di questa tematica tuo figlio di 16 anni, al quale hai dedicato il libro?
«Lui dice che gli è piaciuto…o forse non avrebbe avuto il coraggio di dire il contrario (sorride). Più probabilmente perché come tutti i ragazzi di una certa età è affascinato dalle storie. E l’arte e il rock hanno come grande capacità proprio quella di raccontare storie. Siano tragiche, meravigliose o romantiche, in qualche modo riescono sempre a coinvolgere e toccare chi legge».

“Ho obbligato Francesco a leggere il libro su carta,
cosa a cui non era abituato.
E ad annusare i libri ogni volta che li prende in mano,
perché hanno un odore bellissimo”

A proposito di libri, davvero sarà la tua ultima pubblicazione a riguardo? Si chiude un cerchio?
«Conosco gruppi che infinite volte hanno dichiarato il loro tour d’addio, per cui anche io non sarò da meno…(sorride). Sai qual è la verità? Il passato che ho raccontato si è colorato, per sua natura, di affascinante epica, oltre al fatto che siano stati anni in cui è accaduto veramente di tutto. Oggi con il politicamente corretto molti eventi non possono più verificarsi. In alcuni casi è certamente un bene, in altri un’esagerazione. Il presente, questo presente in particolare, è sempre più difficile da narrare, essendo cambiato il mondo. E le storie più belle del rock però le ho già raccontate. Può mancare ancora qualcosa? Magari quell’incredibile coincidenza che lega Ian Curtis dei Joy Division a Chris Cornell dei Soundgarden a Chester Bennington dei Linkin Park, chissà…Per il momento però questo libro resta di fatto l’ultimo. E credo che lo rimarrà ancora per un po’».

“All’interno del libro due QR code per visualizzare su YouTube e su Spotify la speciale ‘Playlist dell’isola deserta’ creata da con i brani indispensabili
per scoprire e imparare ad amare il mondo della musica rock”

Le idee nel frattempo, oltre all’editoria e il tuo mestiere di speaker, non mancano mai e come dichiarato anche sui social sta prendendo forma il tuo nuovo progetto: “Le Cattedrali”.
«Ho più di 30.000 dischi tra CD e vinili, 2000 libri di musica, 160 quadri dipinti da musicisti, da Leonard Cohen a Paul McCartney e infinite memorabilia…E allora mi sono chiesto: “Che senso ha tenere tutto questo a casa?” Qualcuno diceva che “La felicità è reale solo se condivisa”, citando il film Into the Wild. Bene io da anni cercavo un luogo che potesse ospitare tutto quello che avevo, magari chiamando anche altri a raccolta. Mi hanno fatto proposte da Sanremo, Roma e Napoli, bellissime città ma che mi impedivano di seguire questo progetto da vicino. Poi a 6 km da Asti, nel territorio immerso nel patrimonio dell’UNESCO, ho trovato un luogo che per me è come la Factory di Andy Warhol. Una location dove proviamo a dar forma a idee, eventi, concerti e mostre. Non so quanto potrà durare senza l’appoggio delle istituzioni o qualche finanziamento, ma per il momento sogniamo».

“Il grande privilegio di chi fa il mio lavoro, citando “American tune” di Paul Simon, è sapere che c’è un’altra giornata davanti e che abbiamo tempo per riposarci un po’”

“Questo è tutto quello che chiedo alla vita professionale: una nuova alba per continuare a sognare un pochino.
Andare verso la vecchiaia ha i suoi vantaggi,
ma anche i suoi problemi.
Forse quello che conta è essere stati giovani nel momento giusto”

Massimo Cotto, nato ad Asti nel 1962, è autore di 73 libri, giornalista professionista, esperto di musica, DJ radiofonico, autore televisivo e teatrale, presentatore e direttore artistico di numerosi festival e rassegne. Oggi è una delle voci più note di Virgin Radio, dove ogni mattina conduce il programma Rock & Talk, ma in passato ha parlato ai microfoni di Radio Rai (con cui ha collaborato per oltre vent’anni e dove è stato per quattro anni responsabile artistico di Radio Uno), Radio 24 e Radio Capital. Ha collaborato con diversi quotidiani e scritto per le principali riviste italiane e internazionali, tra cui l’americana Billboard e la tedesca Howl!. Nel 2010 è stato tra gli autori del Festival di Sanremo. Dal 2017 al 2019 ha presieduto la giuria del Primo Maggio di Roma. Per diversi anni è stato alla guida di Sanremolab e Area Sanremo. Dal 2021 è Ufficiale della Repubblica Italiana per la sua attività “sempre caratterizzata da una particolare attenzione al sociale”. Negli ultimi anni è stato interprete di diversi spettacoli teatrali, tra cui “Chelsea Hotel”, “Rock Bazar” e “Decamerock”. Per Gallucci editore ha pubblicato “Il Re della Memoria”, vincitore del Premio Selezione Bancarella 2023.

Luca Cecchelli
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