IndexMusic ha intervistato il collezionista Niccolò Chimenti, autore insieme a Peter Hince della mostra “Queen Unseen”,
alla Fondazione Matalon di Milano fino al 21 aprile

Il fotografo e collezionista Niccolò Chimenti | https://it.linkedin.com/in/niccolo-chimenti-845b7a2a?original_referer=https%3A%2F%2Fwww.google.it%2F

Fotografo di moda, musicista amatore e più di tutto appassionato fan e collezionista della band di Freddie Mercury e soci. Passione che lo lega allo storico roadie Peter Hince, con il quale porta finalmente anche a Milano la mostra itinerante “Queen Unseen”. Niente catalogo per chi non potrà vederla, ma prevista l’uscita a giorni del libro Queen Uncovered (Ed Il Castello).

Come nasce la tua passione da collezionista dei Queen?
«Da piccolo ricordo la fascinazione per il battito di mani del videoclip di Radio Ga Ga, i cartoni animati di A Kind of Magic o le facce sovrapposte dei membri della band sulla copertina di The Miracle (1989). Dalla metà degli anni ’80 a poco a poco ho incominciato a capirne sempre di più, fino ai primi anni ’90, quelli a cavallo tra Innuendo (1991) e la scomparsa di Freddie poco dopo. Quello fu il periodo in cui mi iscrissi al fan club londinese: ogni numero che mi arrivava aveva dentro un tagliandino per acquistare quello che avevano in vendita: magliette, spille o sciarpe. Quella è diventata la base della mia collezione, insieme a ritagli di giornale e altro. Una passione giovanile poi riemersa decisamente dal 2010 – qualche anno prima del lancio del film Bohemian Rhapsody (2018) – rimettendomi alla ricerca di biglietti dei concerti, pass di backstage, manifesti, oggettistica e quanto appartenuto ai membri dei Queen, sia sul palco che nella loro vita privata».

“Ho cominciato comprando i primi oggetti del fanclub
poi diventati appunto da collezione,
oggi ormai introvabili e quindi di gran valore”

Quando ha preso forma l’idea e poi il progetto di questa mostra itinerante?
«Ero già in contatto da qualche anno con Peter Hince via mail. Peter è un grande esperto e persona estremamente disponibile con tutti noi collezionisti. Offre sempre pareri sugli oggetti ed è uno dei pochi che può veramente dire quanto possano essere autentici, falsi o addirittura mai visti. Circa un anno e mezzo fa lo chiamai per fare le consuete chiacchiere ed è venuta questa idea. Avendo già io una collezione abbastanza corposa ho pensato: “Perché non uniamo le forze per creare qualcosa di ancora più bello?” Così insieme a una parte dei miei memorabilia si sono aggiunte le oltre cento straordinarie foto di Peter, molte in dimensioni giganti su stampa fotografica. Prima tappa della mostra aperta al pubblico a Torino, lo scorso aprile».

Quale è stata l’accoglienza della mostra così concepita finora?
«A Milano devo ammettere particolarmente calorosa. Forse perché città dell’unico concerto italiano nella formazione originale? Probabile. Mi aspettavo comunque una accoglienza sentita, che poi si è rivelata quella che abbiamo avuto in ogni tappa. Essendone anche io membro so quanto sia appassionata la fanbase dei Queen e quanto ancora vivo l’interesse per la band nonostante Freddie non ci sia da più di 30 anni. I fan sono molto attenti, hanno voglia di sapere tutto il possibile sui loro idoli, anche attraverso fotografie, molte delle quali inedite, o comunque mai viste come in questo tipo di allestimento. E naturalmente godendo anche della parte di memorabilia che inevitabilmente avvicina all’uomo prima ancora che al frontman e a tutta la band».

“Sento di aver assecondato un’emozione che molti volevano provare:
credo che anche da questo aspetto
venga un po’ il successo della mostra”

Come dicevi, facendo tappa proprio a Milano, viene naturale toccare anche il rapporto della band con l’Italia, in particolar modo il 1984 con l’esibizione a Sanremo a febbraio e i concerti milanesi nel settembre di quello stesso anno. Quanto vengono approfonditi quei momenti nella mostra?
«Purtroppo, da collezionista come da fan, devo tristemente constatare che era ed è tutt’ora molto difficile reperire materiali di un certo interesse di quel periodo. Intanto va considerato che nel 1984 i Queen non erano ancora così famosi in Italia come all’estero, o addirittura come lo divennero esponenzialmente proprio dopo la scomparsa di Freddie, a partire dagli anni ’90. Senza contare che – come confermato dallo stesso Peter Hince – allestire ai tempi concerti così grossi in Italia era complicato: non a caso ebbero alcuni problemi organizzativi e persino dal punto di vista tecnico riguardo al palco. Come chicca però abbiamo il manifesto ufficiale e un pass backstage delle due date di Milano. E poi un posacenere personale che viene direttamente dall’Executive Suite Sissi del Royal Hotel Sanremo, utilizzato da Freddie nelle serate delle due esibizioni in playback durante il festival. Freddie lo regalò a Ratty (così veniva soprannominato Peter Hince) trafugandolo dall’hotel. E dalle mani di Peter è poi entrato nella mia collezione da qualche anno».

Qual è il pezzo di cui sei più fiero?
«Sicuramente un oggetto iconico: uno dei microfoni originali appartenuti a Freddie. Qualcosa di introvabile in qualsiasi altra mostra, asta o presso qualsiasi altro collezionista al mondo: un reperto unico. Uno dei pezzi più incredibili, proprietà di Peter Hince, che ne possiede circa tre – che mi ha assicurato non venderà mai a nessuno! Poterlo anche solo vedere dal vivo è un vero omaggio che Peter ci ha fatto. È collocato in una teca, collegato a un’asta di mia proprietà, quella utilizzata da Mercury nell’ultimo concerto del 1986 a Knebworth Park in Inghilterra, nell’agosto 1986. Anche l’asta è un oggetto rarissimo, considerato che solo Freddie la usava in quella maniera. Si tratta di aste artigianali, create sulla base di precise indicazioni di lunghezza, peso e diametro, prodotte da un laboratorio che lavorava il ferro – ho anche il preventivo nel quale ne vengono commissionate 18. E una di queste è proprio qui. Forse l’oggetto capace di trasmettere le vibrazioni più belle».

Si tratta di un microfono legato solo a quell’evento oppure anche ad altre registrazioni in studio?
«Freddie non ha avuto molti microfoni nella sua carriera. Ha sempre preferito un modello in particolare e nei suoi circa 600 concerti ha avuto massimo 6 o 7 microfoni. Anche perché non c’era grande ricambio, spesso venivano riparati. E questo è uno di quelli – con il quale potrebbe aver fatto circa un centinaio di concerti e sicuramente anche qualcuno importante (ammicca)».

“Non erano microfoni distinguibili l’uno dall’altro,
ma di certo questo l’ha adoperato per tantissimo tempo
e in numerose esibizioni”

Freddie Mercury e John Deacon in concerto ©Ph Peter Hince

La maggior parte del materiale della mostra riguarda Freddie Mercury: come mai? Una priorità da collezionista?
«Amo anche gli oggetti degli altri tre membri della band, sono dell’idea che fosse un gruppo in cui tutti e quattro fossero regolarmente importanti. Freddie è stato il frontman – lui stesso non amava definirsi leader perché reputava tutti allo stesso livello – ma indubbiamente è quello più nel cuore del pubblico. Quindi abbiamo preferito, nella scelta di fotografie e memorabilia, dare maggiore rilievo a lui. Detto questo è anche vero che è un po’ più difficile trovare oggetti riguardanti gli altri, in particolare John Deacon che soprattutto nell’ultimo periodo si è ritirato completamente senza partecipare più ad alcun evento o mostrarsi in pubblico, per cui reperire suo materiale diventa molto complicato. Però sono sempre a caccia di qualsiasi memorabilia di tutti i componenti».

Un collezionismo a oltranza?
«Assolutamente. La ricerca non si arresta mai ma arricchisce di continuo. Nell’esposizione di Milano ci sono pezzi acquistati durante la tappa precedente a Roma. Lo scorso settembre mentre la mostra faceva tappa a Gallipoli c’è stata l’asta di Sotheby’s e ho acquistato un lotto di T-shirt: una di queste è ora esposta a Milano, con le fotografie di Freddie che la indossa nel 1986».

Mai valutata l’idea di una supermostra con tutto il memorabilia disponibile, facendo rete tra collezionisti?
«È un’idea che stiamo valutando. Una parte del collezionismo sta proprio nella rete di scambio. Si potrebbero esporre pezzi come il famoso chiodo giallo che Freddie indossa a Wembley nel 1986 (battuto in asta a 80.000 pound a metà degli anni 2000) o mantello e corona del Magic Tour (battuti a più di mezzo milione a settembre). Sarebbe bello».

A  impreziosire la mostra anche una sezione dedicata a rarità video.
«Sì, specifico rari ma non inediti. Sono però filmati visti molto poco e principalmente di backstage, sia nelle fasi di composizione che di preparazione del tour o di videoclip. Molto interessante, un vero plus per la mostra. Una gran bella immersione nel mondo dei Queen».

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