È uscita oggi sulla pagina culturale della Gazzetta di Parma una splendida recensione di Gian Paolo Minardi, decano della critica musicale italiana, al nuovo CD del pianista ucraino Antonii Baryshevskyi, vincitore del Concorso Arthur Rubinstein di Tel Aviv, protagonista di una fortunata tournée europea che ha toccato Roma (29 ottobre) e Bologna (30 ottobre, Musica Insieme).
Il CD in questione (vedi cover), contenente le sei Sonate di Galina Ustvolskaya, è pubblicato dall’etichetta tedesca CAvi-music, distribuita in Italia da New Arts International, e reperibile in tutti negozi online.

Riportiamo integralmente la recensione di Gian Paolo Minardi.

Gazzetta di Parma, lunedì 18 dicembre 2017
IL CLASSICO IN DISCO
IL REGNO IMMAGINARIO DI UNA STRAORDINARIA MUSICISTA
Galina Ustvolskaya, l’«eremita»

Per quanto autrice di pagine cameristiche di forte segno quali il Trio per clarinetto violino e pianoforte e il Duetto per violino e pianoforte, Galina Ustvolskaya rifiutava il termine «musica da camera», quasi a rivendicare quella sua condizione di «eremita» in cui, a differenza di altri compositori che hanno ritrovato la luce uscendo dalle tragiche tenebre dello stalinismo, come la Gubajdulina, si era rinchiusa e dalla quale l’hanno sottratta alcuni interpreti, folgorati da quella sua originalità che alcuni critici hanno paragonato al potere penetrante di un laser.

Nata nel 1919 e scomparsa nel 2006 la Ustvolskaya è stata la migliore allieva di Shostakovich il quale ne fu profondamente ammirato – oltre che innamorato, da pensare addirittura al matrimonio – da inserire in alcune sue ultime composizioni – il quinto Quartetto, le Liriche di Michelangelo, la Sonata per viola – alcuni frammenti del Trio dell’allieva, dicendo «non sono io che ho influenzato lei ma lei che ha influenzato me».

In effetti la musica della Ustvolskaya presenta una assoluta autenticità che non lascia trasparire alcuna ascendenza. Una musica essenziale, forte, fatta di un linguaggio povero, scandito con un passo ostinato, ripetitivo, nulla a che fare, tuttavia, con la «povertà» spiritualizzata di un Pärt, men che meno con la ripetitività automatica dei minimalisti, per il modo stesso di concepire il suono, di inventarlo, sia nel trattare il pianoforte che nel concepire organici orchestrali del tutto inconsueti…

Un’avvincente occasione per entrare nel regno immaginario di questa straordinaria musicista è offerta dal recente disco della CAvi-music in cui Antonii Baryshevskyi propone le sei Sonate per pianoforte, opere che delineano il progredire di un percorso – le prime quattro composte tra il 1947 e il 1957, le due ultime tra il 1986 e il 1988 – da modi in cui certi tratti di Shostakovich sono ancora riconoscibili ad uno scavo verso un baratro in cui toni lancinanti si alternano a momenti di silenzio così da evocare una inquietante solitudine, un senso di spaesamento; non è la tensione verso l’alto che possiamo cogliere nelle pagine della Gubajdulina ma qualcosa di più profondo: «la mia musica non è religiosa, è spirituale», diceva e questo sentimento di bruciante radicalità trova una traduzione sonora particolarmente intensa nella lettura del giovane pianista di Kiev di cui ci siamo già occupati, ammirando il senso di immedesimazione – in Scriabin come nei «Quadri» musorgskiani – con le ragioni poetiche dei musicisti della sua terra.

Gian Paolo Minardi

Bologna, 18 dicembre 2017